I Veneti preromani nel contesto europeo

26 01 2009

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“I Veneti. Società e cultura di un popolo dell’Italia preromana”
Autore    Capuis Loredana

“Antichi testi veneti”
Autore    Marcato Carla; Cortelazzo Manlio; Formentin Vittorio

http://www.centrostudilaruna.it

Silvano Lorenzoni

‘Veneti’ ce ne furono non solo
nell’Adriatico settentrionale ma anche in Armorica (Bretagna), sulle
Alpi (Lago di Costanza), alla foce della Vistola (Prussia occidentale),
nel Lazio e anche in Asia Minore, ma gli unici sul conto dei quali si
sappia qualcosa – per quanto poco – di storicamente fondato sono i
veneti del Veneto. – Quanto alla presunta origine microasiatica dei
veneti – essi sarebbero venuti dalla Paflagonia guidati da certo
Antenore, troiano, dopo la caduta di Troia proprio come i romani
sarebbero arrivati nel Lazio da Troia guidati da Enea, secondo l’Eneide
di Virgilio – si tratta di un’invenzione lanciata inizialmente da
Plinio, che a sua volta faceva riferimento a Catone, poi continuata da
Livio in un clima di esaltazione politica della grandezza di Roma.

Come dappertutto in Europa, e non solo,
la genesi delle diverse nazioni e culture, quali grosso modo sono
riconoscibili ancora adesso, risale alla dominazione del continente da
parte di signori indoeuropei
che si imposero su popolazioni paleoeuropee non certo tutte uguali. Dal
punto di vista culturale ed etnico il Veneto arcaico – fino, grosso
modo, al secolo XI – apparteneva all’ecumene centroeuropeo, del quale
la Padania viene a essere il meridione. Il tipo umano predominante era
ed è quello alpino (cioé: il tipo alpino della razza bianca o
europide), che non è quello mediterraneo e neppur quello nordico o
quello balcanico. Esso assomiglia piuttosto a quello prevalente nel
Baltico e, in generale, nell’Europa Nord-orientale, e anche le lingue
pre-venete/pre-indoeuropee
parlate nel II millennio dovevano essere di tipo finnico-uralico.
Incomincio perciò con dare un’idea di quali potessero essere le
caratteristiche del Veneto pre-veneto….

Gli abitanti pre-veneti della pianura
veneta furono i cosiddetti euganei, sul conto dei quali non si sa
praticamente niente, mentre le zone montagnose erano abitate dai reti,
che si estendevano in tutto il Tirolo fino alla Baviera meridionale.
Queste due popolazioni dovevano essere virtualmente identiche e si dice
che con il sopraggiungere dgli indoeuropei
gli euganei siano fuggiti e si siano attestati sulle montagne assieme
ai reti. È invece molto più probabile che la stragrande maggioranza
degli euganei siano rimasti dov’erano e abbiano continuato la loro vita
come vassalli dei veneti indoeuropei
dei quali, un poco alla volta, essi adottarono la lingua.

I reti continuarono ad avere un’esistenza politicamente indipendente per molto tempo – fino al I secolo, e dal punto di vista culturale anche dopo. In
riguardo, su di loro ci sono delle informazioni, che ci lasciano
intravvedere come dovettero essere anche gli euganei.

Già nei secoli XVIII – XI nel Veneto
c’era un’importante industria del bronzo, che veniva importato grezzo
dal Trentino e lavorato localmente in diversi luoghi. A quei tempi
venivano già fatti i bronzetti votivi tipicamente veneti che si
continuarono a fare anche dopo l’avvento degli indoeuropei – non a caso, nel Veneto, gli ex-voto furono
sempre di bronzo e non di ceramica come nel resto dello spazio
geografico italico. L’industria del bronzo continuò a essere, anche in
tempi romani, particolarmente importante nel Veneto: le cosiddette
situle, vasi di bronzo ornati di scene quotidiane, di contro agli stili
geometrici in vigore in quasi tutto il resto dell’Europa, incominciano
a essere prodotte nel VI secolo e rappresentano una continuazione ed
evoluzione di un artigianato del bronzo già in pieno rigoglio agli
inizi del II millennio. Già in tempi preindoeuropei, è chiaro, c’era
una florida attività artigianale e commerciale.

I reti, lo si è già detto, ci danno un’idea di come potesse essere il
Veneto pre-indoeuropeo nel suo insieme. Dopo l’arrivo dei veneti, fra
reti e veneti ci fu un nteressante intercambio culturale. I reti (e
quindi probabilmente gli euganei) utilizzavano la tecnica
architettonica di fabbricare case semiinterrate usando blocchi di
pietra (se ne trovano resti in tutta l’Europa alpina), adottate anche
dai veneti. In margine alle zone indoeuropeizzate, i reti – che erano
veneti pre-veneti – continuarono ad avere una fiorente società ancora
in tempi romani. Valpolicella, nel I secolo, era ancora un centro
retico e centro retico era stata Verona prima della sua celtizzazione,
come lo fu Trento. I reti, oltre a ottimi contadini e artigiani,
costituivano società fortemente organizzate dove vivo era il senso
della proprietà, della casa e della famiglia: qui si intravvedono molte
delle qualità che distinguevano i veneti fino a tempi molto recenti.
Già molto presto i reti avevano adottato l’alfabeto etrusco e rimangono
alcune iscrizioni, di epoca romana. Si tratta di una lingua non indoeuropea,
non ancora decifrata (lo si è già detto, probabilmente di tipo
uralico). È stato detto che essa presenta affinità con il ligure; ma
l’unica affinità di cui si possa essere sicuri è che ambedue erano
lingue non-indoeuropee (il ligure era una lingua mediterranea, di tipo,
se vogliamo ‘etruscoide’). – Dal lato religioso, i reti avevano l’abitudine di accendere grandi fuochi cultuali e i veneti indoeuropei
sembra abbiano mutuato queste abitudini. In Lessinia, zona di forte
presenza retica, ancora circa un secolo fa si accendevano verso il
Solstizio d’inverno dei grandi falò sulle cime dei monti, e i carboni
che ne risultavano servivano a proteggere contro il fulmine. A questi
fuochi erano anche legate pratiche divinatorie. Fra dicembre e gennaio
si bruciavano sterpi per ‘aiutare’ il Sole nel processo stagionale
dell’allungamento delle ore di luce.

Altra fenomenologia arcaica
pre-indoeuropea è quella architetturale dei castellieri, grandi
costruzioni di pietra a secco e di terra battuta in cima a certe
colline, difese da fossati. Fino a tempi romani, in Istria e in
Dalmazia, furono luoghi fortificati e di abitazione, ma ne esistevano
anche in Tirolo, orientati secondo criteri astrologici, e nella
pianura, fino al Garda e oltre (quindi identità, in tempi
pre-indoeuropei, fra le genti della montagna e della pianura veneta).
C’è chi ha voluto vedere nei castellieri un’influenza mediterranea – né
la cosa è impossibile, visto che le genti mediterranee erano dei grandi
costruttori in pietra, ma questo è ancora da dimostrarsi.

Il Veneto indoeuropeo esordisce con l’insediamento dei veneti nei secoli XI – X. Si trattava di indoeuropei
di ceppo italico, come testimonia la loro lingua, molto simile al
latino e della quale incominciano a trovarsi documenti a partire dal
secolo VI, scritti in alfabeto veneto, derivato dall’etrusco chiusino
(di massima, come sempre e dappertutto, si tratta di iscrizioni
funerarie). Dei veneti si è anche detto che fossero celti o protocelti, ma si tratta di un fatto ambiguo, in quanto ancora alla fine del II millennio la distinzione fra celti e italici non era del tutto chiara. Tratto celtico, ma anche italico (si ricordi il particolare rapporto fra Numa Pompilio e la ninfa Egeria) è l’importanza religiosa
data alle fonti e agli spiriti acquatici, su di cui si riverrà anche
più avanti, e che fu caratteristica anche dei veneti (il ricordo delle
anguane, spiriti acquatici, era vivo nelle popolazione veneta ancora
meno di un secolo fa). I templi veneti erano quasi sempre vicini a
fonti o a corsi d’acqua; e libagioni d’acqua erano offerte ai loro dei.

Come tutti gli indoeuropei,
anche i veneti costruivano in legno. Le genti mediterranee erano state
grandi costruttori in pietra, quelle centroeuropee usavano, a quanto
sembra, tecniche miste. Non a caso tutte le città venete –
principalissime Padova ed Este, ma anche Vicenza, Montebelluna, Oderzo,
Treviso, ecc. – furono città di legno delle quali sono rintracciabili
soltanto le fondamenta.

La vitalità e l’intraprendenza indoeuropea
portò a un fiorire culturale e commerciale che nel veneto antico era
stato meno dinamico. L’alto Adriatico, crocevia fra l’Europa
settentrionale e orientale e il mondo etrusco e greco e poi romano,
divenne un centro artigianale e un crocevia commerciale di tutto
rispetto. Attraverso il Veneto passava la via dell’ambra, proveniente
dal Baltico, ma si commerciava anche in sale, vino, metalli grezzi e
lavorati, ceramica (il Veneto, fin da llora, fu terra di grandi
ceramisti) e in cavalli, i cavalli veneti essendo fra i migliori
d’Europa – i veneti furono grandi allevatori di cavalli (tratto,
questo, fortemente indoeuropeo). Già nel secolo VII c’era una moneta veneta, l’aes rude, sostituita nel secolo III dalla dracma venetica di tipo massaliota e poi, nel I secolo, dalla monetazione romana.

Per quel che riguarda il lato religioso,
le informazioni che abbiamo sono scarse. Come dappertutto in Europa – e
anche in Asia – lo stabilirsi delle aristocrazie dominanti indoeuropee portò a sincretismi religiosi per cui la religione uranica dei dominatori convisse e acquistò caratteristiche delle religioni
dei paleoeuropei sottomessi. Se per il mondo greco molti studi sono
stati fatti e, entro ragionevoli limiti, si è riusciti a districare fra
ciò che c’era di ellenico e di pre-ellenico nella religione greca, nel resto dell’Europa le cose si presentano molto meno chiare; e quale fosse la religiosità delle popolazioni pre-indoeuropee
non-mediterranee è quasi sconosciuto. Aggiungiamo che, specificamente
nel Veneto, i luoghi di culto dovevano essere solo eccezionalmente dei
templi veri e propri, e generalmente recinti sacri posti nella
prossimità delle fonti – comunque, si trattava sempre di strutture in
legno delle quali adesso sono riconoscibili soltanto i tracciati. La
prossimità delle fonti, se ne è già parlato, potrebbe essere un
carattere indoeuropeo, di tipo italo-celtico.

Non c’è dubbio che i veneti dovevano avere una struttura religiosa non dissimile da quella paleoromana, improntata dalla tripartizione indoeuropea
(Juppiter, Mars, Quirinus). Ma notizie in riguardo non ne rimangono. I
lasciti archeologici puntano invece, con ogni probabilità,
essenzialmente alla religione popolare del substrato pre-indoeuropeo
della popolazione (come, del resto, è il caso anche in tutta l’area
italica, dove però la fabbricazione di templi e di aree cultuali in
pietra, per non parlare di una abbondante documentazione scritta,
permise agli studiosi contemporanei di farsi un’idea migliore di quali
relazioni intercorressero fra fra le diverse stratificazioni religiose).

Prettamente indoeuropeo – anzi, identico a certe pratiche comuni in Lituania fino alla fine del Medioevo
– è il sacrificio del cavallo, che poi veniva sepolto sotto tumuli
artificiali di terra – diversi scheletri di cavalli sono stati trovati
sotto tumuli del genere in terra veneta. Tendenzialmente indoeuropeo
potrebbe essere il fatto che le tombe trovate sono prevalentemente a
cremazione e poche quelle a inumazione, probabilmente di servi. Anche
se sia indoeuropei che paleoeuropei usavano l’una e l’altra pratica funeraria, la prevalenza della cremazione potrebbe indicare una predominanza indoeuropea.

Per il resto, quanto ci è dato di
sapere sulle pratiche cultuali nel Veneto pre-romano suggerisce che si
tratti in massima parte, come già detto, di sopravvivenze
pre-indoeuropee – ‘euganee’ – e magari anche di influenze mediterranee
o di sincretismi a esse legati. La dea più conosciuta del culto veneto
preromano era Reitia (radice veneta rekt = tedesco richten =
raddrizzare), anticamente Pora, dea del guado o del passaggio,
verosimilmente verso le regioni dell’Oltretomba (tratto essenzialmente
pre-indoeuropeo). I suoi principali santuari furono a Este e a Vicenza,
dove essa aveva l’attributo di sanante e facilitava le guarigioni e i
parti. Nei siti dei suoi luoghi di culto sono stati trovati un numero
grandissimo di ex-voto, dalle cui iscrizioni si può dedurre che devote a Reitia erano soprattutto le donne. L’aspetto religioso
di Reitia sembra coincidere, sia per quel che riguarda la sua attività
che per il tipo di culto che le si rendeva, con quello di Esculapio,
anch’esso un dio vicino agli umani e verosimilmente di origine
pre-indoeuropea. Ad Abano si venerava un non meglio identificato Apono
e a Lagole (in Cadore), la tricefala Trumusiate (o Icate), forse affine
all’infernale Ecate pre-ellenica: qui, forse, ha da vedersi un influsso
mediterraneo. Stranamente, in tempi romani, Trumusiate divenne Apollo.

Storicamente, i veneti gravitarono
sempre nell’orbita di Roma, che era un alleato naturale per affrontare
gli attacchi dei galli della Padania occidentale e meridionale e contro
i quali sia i veneti che i romani si dovettero difendere per secoli. Né
si escludono affinità naturali di tipo culturale e linguistico, per cui
i veneti, anch’essi italici, si sentivano più vicini ai romani che ai celti.
Nel I secolo il Veneto passò, in modo più o meno indolore, a formare
parte dell’Impero Romano. Buona parte dei caduti nella battaglia della
foresta di Teutoburgo furono veneti.

* * *

Bibliografia essenziale: Giulia Fogolari, I veneti, in AA.VV., Antiche genti d’Italia, De Luca, Roma, 1994; Giorgio Chelidonio, Le feste e le tradizioni del fuoco in Lessinia, edizione della Comunità montana della Lessinia, Verona, 1999; Giulio Romano, Archeoastronomia italiana, CLEUP, Padova, 1992; Raffaele Mambella e Lucia Sanesi Mastrocinque, Le Venezie, itinerari archeologici, Newton Compton, Roma, 1988; Roberto Guerra, Antiche popolazioni dell’Italia preromana, Aries, Padova, 1999; Jean Haudry, Gli indoeuropei, Ar, Padova, 2001; Hans F. K. Günther, Tipologia razziale dell’Europa, Ghenos, Ferrara, 2003; Marija Gimbutas, Die Balten, Herbig, München, 1982.

Silvano Lorenzoni

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